Il tempio di Kindu. Monumento ai caduti della 46^ Brigata Aerea in Congo

Oggi 11 novembre ricorre un anniversario triste, ricordiamo il massacro di Kindu e la tragica uccisione di nostri aviatori in territorio congolese.

La storia.

Negli anni 60 il Congo, ottenuta l'indipendenza dal Belgio, era in uno stato di profonda crisi socio economica. La secessione della  regione del Katanga, unico territorio ricco del paese con le sue risorse minerarie, era sfociata in una guerra civile. Le fazioni in gioco erano quella del presidente Kasavubu con le truppe governative al comando del generale Mobutu, quella di Antoine Gizenga e del suo generale Lundula e quella appunto del Katanga di Moise Ciombe che si avvaleva di irregolari mercenari, per lo più  belgi.

La scintilla scatenante fu l'assassinio di Patrice Lumumba ad  opera di Ciombe appoggiato dal presidente Casavubu e dal generale Mobuto.

Per arginare il più possibile questa crisi e i continui massacri l'Onu decise di intervenire, era ancora un organizzazione giovane e pagò il conto della sua inesperienza con una serie di vittime che colpirono anche le nostre forze armate.

Titolo della Nazione, pochi giorni dopo il massacro (foto La Nazione)
Titolo della Nazione, pochi giorni dopo il massacro (foto La Nazione)

L'Italia e in particolare la nostra aeronautica militare con la 46^ Brigata Aerea, sotto l'egida delle Nazioni Unite, venne impegnata con i suoi C119, i vagoni volanti, per trasportare aiuti materiali ed evacuare personale dalla regione.

Fu un anno e mezzo di intensa attività che mise a dura prova le capacità della nostra forza armata, i continui voli, le lunghe ore e soprattutto la tensione di operare in quei territori sfibrò uomini e mezzi, ma l'impegno e la professionalità  rimase sempre ad altissimi livelli.

Sabato 11 novembre i due velivoli attualmente in Congo ricevettero l'ordine di caricare aiuti per la guarnigione malese dell'Onu di stanza presso l'aeroporto di Kindu, un aerea estremamente pericolosa dove da qualche tempo si erano creati scontri armati tra i governativi e le truppe irregolari dei ribelli.

I due equipaggi avrebbero dovuto far ritorno in Italia da lì  a pochi giorni ed eseguirono l'ordine decollando a metà  mattina per Kindu.

Giunti sulla città, nei pressi dell'aeroporto, effettuarono alcuni bassi passaggi e questo mise in allarme i ribelli che da giorni temevano un incursione di paracadutisti mercenari al comando di Ciombe.

Dopo le operazioni di scarico i due equipaggi si recarono presso la mensa per rifocillarsi, da notare che per evitare di dare adito a qualsivoglia provocazioni erano praticamente disarmati avendo lasciato le proprie armi in aereo. L'unica protezione a loro riservata erano le truppe Onu malesi al comando del maggiore Maud.

Intorno alle 16 un drappello di congolesi inferociti e incalzati da false notizie di possibili mercenari nemici fece irruzione nell'edificio e sopraffasse i pochi malesi di guardia.

Il tenente medico Remotti tentò la fuga attraverso una finestra ma fu raggiunto a morte dai colpi di mitra dei ribelli.

I dodici militari italiani rimasti, vennero trasferiti nella prigione della città, durante la notte trucidati nonostante il maggiore Maud cercasse di far capire chi veramente fossero.

Qui si aprì un giallo con diverse verità, si scrisse infatti che i corpi vennero mutilati a colpi di macete e gettati alla folla e che ci furono addirittura casi di cannibalismo.

Questa possibilità fu smentita dopo il ritrovamento dei corpi.

Di vero, purtroppo, ci fu il massacro e le vittime vennero seppellite in una fossa comune nella foresta ai confini della città.

Il C119, con le insegne ONU, impiegato in Congo (foto Aeronautica militare)
Il C119, con le insegne ONU, impiegato in Congo (foto Aeronautica militare)

Per molti giorni non si seppe nulla di questo eccidio, mentre a livello diplomatico si cercava una possibile soluzione per la liberazione dei nostri militari creduti ancora prigionieri delle forze ribelli.

Quando ci fu la certezza delle uccisioni il giornale radio diffuse la notizia e, ironia della sorte, gli stessi familiari la appresero poco prima di ricevere la visita degli incaricati della nostra forza armata.

Grazie alla perseveranza del cappellano militare Don Erminero Masetto che si interessò di cercare il luogo dove erano stati sepolti i tredici italiani e grazie alla collaborazione dei fratelli Arcidiacono, da tempo residenti in Congo, si riuscì a recuperare i corpi che furono prelevati da un nostro C119 e trasportati a Leopoldville, dove poi a bordo di un C130 statunitense giunsero a Pisa.

Per onorare degnamente i caduti si decise di costruire un monumento e si aprì una sottoscrizione a nome della Rai per la raccolta dei fondi. La generosità degli italiani fu impressionante, personaggi del modo dello spettacolo, della politica ma soprattutto gente comune, permise la raccolta di 264 milioni di lire, una cifra impressionante per quel tempo. Per la progettazione venne interpellato un architetto di Pistoia, Giovanni Michelucci, che interpretò il monumento come una grande piazza sopraelevata rappresentante il Golgota e una serie di rocce perforate a simboleggiare dei loculi. 

Questo progetto per vari motivi venne ridimensionato ad una cappella votiva, in un primo tempo si pensò di crearla all'interno della base ma poi si optò per l'attuale posizione fuori dal sedime aeroportuale per permettere a chiunque volesse omaggiare la memoria dei tredici aviatori. La cappella che nel tempo ha preso il nome di "Tempio di Kindu", ricorda molto un hangar, al suo interno trovano posto infatti strutture metalliche e travature che ricordano molto i ricoveri degli aerei, le salme sono sotto una lastra di marmo nero con il solo nome sopra ed esposte sotto ad una parete vetrata dove proprio di fronte, ma all'interno della base, trova posto un C119 che sembra fare buona guardia alle tombe. A destra dell'altare sono segnate le vittime della 46^ Brigata Aerea caduti negli anni a imperitura memoria mentre in un'altra parete troviamo una dedica: 

Fraternità ha nome questo tempio

che gli italiano hanno dedicato alla memoria

dei tredici aviatori caduti in missione di pace

nell’eccidio di Kindu – Congo 1961.

Qui per sempre tornato d’innanzi al chiaro cielo d’Italia

con eterna voce al mondo intero ammoniscono.

Fraternità 

Chiunque si trovi a far visita alla base di Pisa non dovrebbe mancare un passaggio in questo luogo per onorare con un minuto di silenzio, non solo le vittime dell'eccidio di Kindu, ma tutti i valorosi caduti che il luogo rappresenta.

The Aviation, picture by The Aviation, Aeronautica Militare e La Nazione.